Sulle onde della sostenibilità

Stella Lauro, 24 anni, surfista e sustainability manager di Ogyre, ci racconta la sua avventura nella lotta all’inquinamento marino. 

Quella di Stella Lauro, 24 anni, per il mare è una passione nata circa 10 anni fa, quando per la prima volta ha cercato di stare in equilibrio su una tavola da surf. Laureata in Economia Aziendale ed in Economia e Politiche Ambientali, è la sustainability manager di Ogyre, la prima piattaforma globale con sede a Genova che ha sviluppato un modello di economia circolare per il recupero della plastica nel mare coinvolgendo direttamente i pescatori. Di di origini napoletane,  padre di via Caracciolo e madre dei Quartieri Spagnoli l’abbiamo incontrata a Napoli.

PF: Come è nata la tua passione per il surf? 

«Ho iniziato a surfare quando avevo 14 anni per puro caso. Sono entrata in un negozio di sport a Genova, che era famoso fra i mie compagni della scuola media. Il commesso era istruttore sia di surf sia di snowboard e fondatore dell’associazione Black Wave. Ho provato entrambi gli sport, ma per il surf è stato un colpo di fulmine. Con la pratica, ho capito che non può essere considerato come uno sport o meglio non è vivibile come tale. Mi sono accorta che do il meglio di me quando entro in acqua in uno stato di pace interiore e di tranquillità. E questo stato diventa una modalità di vita e di percezione del mondo circostante che è l’esatto opposto di quello a cui siamo abituati, ovvero la fretta del fare e l’agitazione che ne deriva, che non è utile a nessuno. In acqua non sei tu a decidere, ma è la natura. Impari a rispettarla e ad accoglierla così com’è. Soprattutto in italia dove le mareggiate sono pochissime in estate, e un po’ più frequenti in inverno. A differenza di altri paesi, come per esempio la California, qui quando le onde arrivano passi anche tre, quattro cinque ore in acqua, devi cogliere il momento perché poi potrebbero passare altre due settimane prima di salire di nuovo su una tavola».

PF: Cosa ti ha spinto a interessarti dell’ambiente e della sostenibilità? 

«Durante il primo anno di università in economia aziendale ho letto un articolo che parlava dei rifiuti e dell’inquinamento del mar Mediterraneo. I dati che leggevo erano scioccanti perché la quantità di plastica e di rifiuti in generale era enorme. A mano a mano ho cominciato a leggerne sempre di più. Erano temi che mi toccavano proprio per la mia passione per il mare e quindi per il surf. Quando ho cominciato a surfare non cerano rifiuti in acqua o in spiaggia. Era persino strano trovarli. Nel tempo era sempre più frequente vedere bottiglie di plastica che galleggiavano o rifiuti sparsi sulla spiaggia. Oggi, purtroppo, è la normalità. Volevo fare qualcosa per salvaguardare le nostre acque, proteggerle e ripulirle. E’ stata un’amica a parlarmi del corso di laurea magistrale in Economia e Politiche ambientali a Torino. Avevo bisogno di qualcosa di più strutturato che andasse al di là di quello che leggevo sui giornali. Mi sono, quindi, iscritta all’università di Torino laureandomi recentemente».

PF: Come sei entrata a far parte del team di Ogyre? 

«Ero a un corso di formazione per startup dove ho incontrato Antonio Augeri, uno dei fondatori, insieme ad Andrea Faldella di Ogyre. Era lì per presentare la sua startup. Antonio aveva aperto anche lui una scuola di surf, lo conoscevo già di nome, ma non ci avevo mai parlato perché faceva parte dell’associazione antagonista alla mia e quindi era visto da tutti noi come una sorta di nemico. Durante il corso però abbiamo condiviso pranzi e ritorni in macchina a Genova. Dopo un anno dal nostro incontro, mi ha contatta per chiedermi se volevo occuparmi di tutta la parte legata alla sostenibilità di Ogyre che va dalla responsabilità sociale dell’azienda, ai bilanci, alle relazioni con i pescatori, e ai progetti di fishing for litter ed altro. Sono stata fortunata perché faccio ciò che ho sempre voluto fare».

PF: Come è cambiata la strategia di Ogyre nel tempo? 

«Inizialmente l’attività era molto più legata alla vendita dei costumi realizzati con filati ricavati dal riciclo della plastica che veniva recuperata in mare. Ogni acquisto permetteva noi di continuare la raccolta. Ora le cose sono un po’ cambiate, anche perché con i costumi eravamo sempre soggetti ai trend di moda e poi c’erano gli aspetti di logistica che erano complicati. Il nostro obiettivo oggi è centrato principalmente sul fishing for litter e sul supporto alle aziende nel recuperare i rifiuti nel mare».